Abbiamo conosciuto meglio il talentuoso artista-proprietario del “InKing Tattoo” di Caldogno. E queste sono le sue grandi, profonde verità sull’inchiostro!
Ciao, Mauro. Talento a parte, perché hai scelto di diventare un tatuatore professionista?
Dunque, tutto iniziò una dozzina di anni fa. Dopo aver studiato al liceo artistico e concluso l’accademia di Belle Arti (con tanto di lode!), mi sono trovato nel bel mezzo della mia carriera pittorica rendendomi conto di non essere del tutto soddisfatto. A quel punto successe una cosa.
Cosa per l’esattezza?
Da grande appassionato – e quasi per scherzo… – mio padre mi suggerì di provare a tatuare e mia madre mi fece da cavia (facendosi disegnare sulla pelle il soggetto di un fiore). Da allora mi si aprì un mondo nuovo e compresi da subito d’essere portato per questo mestiere. Il tatuatore di fiducia di mio padre si sbilanciò dicendo che quel fiore era uno dei più belli che avesse mai visto ed era solo il mio primo tatuaggio…
Non ti vedo del tutto convinto.
Beh, ora a riguardarlo mi rendo conto che in realtà era soltanto una delle innumerevoli “ciofeche” partorite dalla mia mano prima di imparare la tecnica… (sorride) Il mondo del tatuaggio è cresciuto esponenzialmente. Dodici anni fa era tutto diverso ed io ho avuto la fortuna di vedere e vivere questi enormi cambiamenti.
Ok, la pelle è sempre la stessa, ma i materiali oramai sono arrivati all’apice della tecnologia dando la possibilità agli apprendisti di fare passi da gigante.
Fiore a parte, mi sveli un momento fin qui davvero imprescindibile della tua carriera?
Un momento importante è stato sicuramente la mia prima convention. Tatuare da soltanto tre anni e partecipare alla “Venezia International Tattoo Convention” è stato oltremodo esaltante. Mi ritrovai catapultato dalla mia realtà di provincia direttamente in mezzo ai migliori tatuatori del mondo, circondato da tanta riverenza ed ammirazione. E poi fu impagabile vedere un mio tatuaggio sul palco!
Quando hai scoperto che il Bianco/Nero (anche se talvolta lo contamini egregiamente col colore) sarebbe diventata la tua cifra stilistica?
Riguardo il mio rapporto con il colore o il Black-and-gray, diciamo che è tutt’ora una lotta interiore non tanto chiara neanche a me… (sorride) Non so mai scegliere e non so mai rispondere alla fatidica domanda “Cosa ti piace di più fare a livello di tattoo art?”. Adoro tatuare in qualsiasi modo.
Talvolta mescolo il colore e il Black-and-gray perché so che non sempre è facile; e, se devo essere sincero, a me piace complicarmi la vita!
Credi di aver avuto più maestri reali (nel senso di approcciati di persona) oppure su carta (tatuatori che hai ammirato solo sui libri o sulle riviste specializzate)?
Guarda, credo che i miei più grandi maestri rimangano i miei insegnanti delle materie artistiche. Mi hanno trasmesso la passione e la sensibilità per apprezzare ogni forma d’arte, mi hanno fatto conoscere l’anatomia e comprendere la prospettiva: elementi fondamentali anche nel tatuaggio realistico.
Frequentare le convention, poi, mi ha permesso di conoscere personalmente un sacco di colleghi, molti diventati cari amici, che prima osservavo semplicemente da distante, come se fossero dei mostri sacri. Approcciarli e vederli lavorare di persona mi ha dato modo di cogliere aspetti tecnici del loro lavoro che ho poi potuto portare nel mio.
Sbaglio o a livello di tattoo realistici hai una predilezione per gli animali?
Partiamo dal presupposto che per un mio pessimo rapporto con i social pubblico davvero pochi tatuaggi. Cerco di pubblicare ciò che secondo me ha qualcosa di nuovo rispetto ai lavori precedenti. Detto questo, i soggetti che tatuo di più in assoluto sono i soggetti floreali, in particolare le rose, diventate ormai il mio cavallo di battaglia. Non amo particolarmente tatuare esclusivamente gli animali, preferisco miscelarli con figure umane, parti grafiche o altri soggetti realistici. Per mantenere accesa la passione nel lavoro cerco sempre qualcosa di nuovo e di non chiudermi su un genere preciso. Non voglio rischiare di annoiarmi.
Provi a descrivere l’ “InKing Tattoo Studio” di Caldogno (Vicenza) – alias il tuo luogo di lavoro – a chi non ha ancora avuto il piacere di visitarlo?
Beh, l’ “InKing Tattoo” è uno studio di periferia. La scelta di non vivere il caos della città rispecchia l’idea di accoglienza e familiarità che voglio lasciare ai miei clienti. Non mi piacciono gli studi di design con arredamenti all’ultima moda, ma con poca personalità: mi sembrano freddi. L’“InKing Tattoo”, invece, è sempre in evoluzione: spostiamo, cambiamo, coloriamo le pareti ecc.
Lo viviamo insomma come una seconda casa. Negli anni sono riuscito a mettere insieme un team di artisti, ognuno con caratteristiche differenti, che riescono a coprire tutte le richieste che ci vengono fatte. Ma soprattutto un clima di lavoro sereno e allegro. Questa, per me, è la soddisfazione più grande: vedere i clienti sentirsi a loro agio e andarsene con un bel sorriso.
Hai appuntamenti che ti aspettano subito dopo l’estate? Guest, convention, progetti esclusivamente tuoi?
Fortunatamente ho una agenda bella piena. Per un annetto almeno, quindi sì, dopo l’estate ci si catapulta a pieno nel lavoro di studio. Come guest collaboro con due studi nelle Marche, il “Kosta Dorika” e l’ “Adriatic Ink”, dove vado almeno due volte l’anno. Ho trovato oltre che due bellissimi ambienti, ottimi amici con cui lavorare, confrontarmi e crescere insieme. Mi piacerebbe fare due o tre convention quest’anno. Ovviamente la “Milano Tattoo Convention” per il prestigio e poi il “Summer Tattoo Festival” di Senigallia a cui sono molto affezionato.
C’è sempre voglia di novità, qualcosa bolle in pentola, ma è ancora presto per parlarne…
Vuoi aggiungere qualcosa in conclusione che ci siamo dimenticati di citare in quest’intervista? Un tuo punto di vista particolare?
In tutta onestà una cosa che mi sento di dire è che ci vuole molta umiltà in questo lavoro.
Io ho imparato tanto, quasi tutto, dai miei errori e ne ho fatti tantissimi. Per mantenere la qualità e continuità nel proprio campo non bisogna mai considerarsi arrivati. C’è sempre spazio per migliorarsi e continuare a crescere.