Com’è possibile che un ex giocatore di basket divenga un maestro legato alla tattoo art Maori e Samoana? Facciamocelo raccontare direttamente da lui…
Ciao Diego e benvenuto. Anche a te chiedo di raccontarmi come i tatuaggi sono entrati nella tua vita e qual è stato il tuo percorso per diventare un tatuatore professionista….
Beh, la mia passione per questo mondo nasce già nel periodo adolescenziale, quando gli amici più grandi di me erano già tutti tatuati e mostravano con orgoglio – e soprattutto ribellione – al mondo i loro tattoo piccoli o grandi che fossero!
A Milano c’erano già parecchi tatuatori, ma io ho vauto la fortuna, tramite un amico comune, di conoscere il grande Marco Ruffa che, oltre ad avermi tatuato più volte, ha contribuito a far nascere in me l’amore per quest’arte.
Tu però arrivi anche e soprattutto dal mondo dello sport, vero?
Esatto. Prima di diventare un tatuatore ho avuto la grande fortuna di poter fare dello sport il mio lavoro, visto che sono stato un giocatore di basket professionista (Diego ha giocato ala piccola per Caserta, Livorno, Pavia, Segrate, Crema, Novara ecc. Ndr). Al termine della carriera cestistica, mi sono finalmente deciso a prendere in mano una macchinetta a bobina e ho provato a fare qualche esperimento su pelle. Prima su di me e poi su amici e fratelli, ai quali sarò debitore per sempre.
È stato emozionante?
Guarda, non dimenticherò mai e poi mai quei momenti! La tensione, la successiva scarica di adrenalina e poi il sorriso che compare sulle labbra, una volta che il tattoo ha preso forma. Eppure questo bell’inizio ha coinciso purtroppo (o per fortuna) con un momento non troppo felice della mia vita…
Ti va di parlarmene?
In parole povere stavo male, fisicamente e mentalmente. Ho deciso allora di partire per un viaggio, armato solo di un po’ di soldi e della mia fidata macchinetta ad aghi. Non sapevo per quanto tempo sarei stato via, ma dovevo partire. Prima tappa: sud-est asiatico, alla ricerca di culture e popoli tribali.
Dove il tatuaggio nasce, vive, cresce insieme all’uomo e poi ne condiziona l’esistenza.
Appunto. Parliamo del tatuaggio polinesiano: sapevi fin dall’inizio, dentro di te, che sarebbe andata a finire così?
Dopo sette mesi di viaggio (e giorno dopo giorno, credimi, mi sentivo sempre meglio), la decisione e la determinazione d’intraprendere questo percorso erano tali da farmi prendere la decisione di raggiungere comunque la Polinesia. Prima la Nuova Zelanda, successivamente Samoa e Hawaii. Proprio in questi luoghi ho studiato e approfondito la materia con grandi maestri, quali Gordon Toi oppure Su’a Sulu’Ape Alaiva’a Petelo e suo figlio Paul. Sono stati loro (assieme ad altri compagni, incontrati lungo la strada) ad ampliare notevolmente le mie conoscenze tecniche e culturali su stile e cultura Maori e samoana.
Qual è il tuo rapporto con i clienti? Li consigli tu sul soggetto da farsi oppure arrivano già eruditi per conto loro?
Beh, il rapporto con il cliente è una cosa molto particolare che s’impara con gli anni e fa parte (o “deve” far parte) della crescita di ogni tatuatore. Nel mio campo è molto facile che una persona ti chieda un Maori e poi ti faccia vedere delle reference di un tatuaggio in stile samoano o marchese…
E tu a quel punto come ti poni?
Quel cliente, dal mio punto di vista, deve essere consapevole di quello che porta su di sé, anche se non è interessato ai significati e alla simbologia, ma semplicemente alla decorazione del proprio corpo. Il mio è un lavoro importante, per contribuire a generare cultura e informazioni, ma soprattutto per porgere il rispetto dovuto a quei popoli lontani.
Vedo che sei attivissimo “geograficamente” dividendoti tra ben cinque studi di tatuaggi: tre italiani (Milano, Roma, Venezia), uno svizzero (Lucerna) e uno francese (Marsiglia). Dimmi la verità: la tua è una vita, per così dire, impegnativa?
No. Come già ti accennavo prima, il viaggio e il continuo confronto con altri tatuatori e tatuatrici rappresentano per me una parte fondamentale del mio continuo apprendimento professionale.
Credo che il nomadismo debba essere parte integrante della formazione di ogni tatuatore e fattore decisivo in relazione alla sua crescita, artistica ed esponenziale.
Hai già dei futuri impegni per quel che riguarda le tattoo convention nazionali ed estere?
L’unica cosa che posso dirti è: aspettiamo fiduciosi che la situazione si normalizzi una volta per tutte, per poter riprendere con questo tipo di eventi. Io per ora ho fissato in agenda l’Urban Tattoo Expo di Roma – in programma i prossimi 10, 11 e 12 settembre.
Qual è stato finora il tuo rapporto con le convention?
Quelle estere a cui ho partecipato si sono rivelate una valanga di porte aperte che, in un secondo tempo, hanno fatto del bene alla mia carriera. In Borneo, Vietnam e Malesia ho conosciuto dei tatuatori che poi mi hanno fatto lavorare nei loro studi in Svizzera, Francia e a Venezia. E la cosa mi ha arrecato una felicità che faccio tuttora fatica a descrivere!