Le passioni di Daniele sono due: i tatuaggi e la “sua” Lazio. Ha incominciato a tauare nel 2006, grazie ai suoi amici, e da allora non ha pù smesso… Mettendo sempre insieme i suoi più grandi amori! Scopriamo come…
Ciao Daniele, grazie per questa intervista! Se non erro hai iniziato a tatuare nel 2006: cosa è successo in questi anni? Ci racconti la tua storia d’amore con il tatuaggio?
Ciao a tutti e grazie per questa opportunità. Il mio percorso comincia nel 2006, grazie ai miei amici: sono stati loro che – vista la mia passione per il disegno e per i tatuaggi – hanno fatto una colletta e mi hanno regalato tutto il necessario per partire! Inizialmente sentivo una responsabilità enorme e non volevo incominciare, ma loro hanno insitito, chiedendomi qualcosa che gli ricordasse la nostra amicizia…
Il desiderio di essere riconoscente mi ha dato la forza di buttarmi e da quel momento il tatuaggio è diventato parte di me, a 360 gradi. Grazie a loro, e ai miei amici di curva, ho avuto modo di tatuare senza pressioni, unicamente per il significato e non per l’estetica. Prima il tatuaggio era questo, non c’era la ricerca della perfezione che c’è oggi.
Quando e con chi è cominciata la tua avventura all’Eternal City Tattoo?
L’avventura all’Eternal City Tattoo comincia nel 2010. Francesco Cuomo e Massimo di Clemente (Disegnello) erano amici di stadio e da Francesco è nata l’idea di unirci e fare uno studio di amici che condividessero le stesse passioni (Lazio e tatuaggio). Qualche anno dopo si è aggiunto anche Andrea Salvitti… che però tifa Roma.
Parliamo del tuo inconfondibile stile: quello con il Tradizionale è stato un colpo di fulmine?
Mi è sempre piaciuto, sia per un discorso culturale che stilistico. Amo la sua stori e poi sono un tradizionalista nella vita in generale: mi piace conservare il testimone e tramandarlo. Il genere in cui mettere più passione nel creare un tatuaggio, per me, non poteva che essere il Tradizionale!
Vuoi parlarci della scelta dei colori? Qual è la tua palette di riferimento?
Su questo sono sempre stato molto combattuto. C’è chi decide di mantenersi sempre sulla stessa palette per rimanere riconoscibile.
A me piace trasmettere al pezzo anche il mio stato d’animo del momento, quindi renderlo più acceso o più spento in base al significato e a come mi sento quel giorno.
Ovviamente poi tengo in considerazione l’incarnato di chi devo tatuare e il messaggio che porta quel tatuaggio. Uso prevalentemente 8/9 colori, sempre gli stessi, ma quasi mai tutti insieme.
Dal punto di vista tecnico, invece, quali sono le tue regole per realizzare un buon lavoro e come deve essere secondo te un “buon tatuaggio”?
Ad oggi la ricerca della meticolosità per me è sacrosanta. Diciamo che la leggibilità e la tecnica dell’esecuzione sono basi imprescindibili, poi ovvio che un californiano fa più attenzione al movimento del soggetto piuttosto che alla pulizia della linea o alla gestione degli spazi e del nero – punti di forza del Tradizionale classico. Sono importantissimi il bilanciamento nero/colore/pelle e la scelta cromatica.
Ci sono dei soggetti che ami particolarmente tatuare, di cui non ti stanchi mai?
Vado in curva da una vita: lo stadio e la Lazio hanno sempre avuto un peso specifico importante nelle mie scelte e – forse per la mia lunga militanza – i tatuaggi più richiesti sono riferiti al mondo ultras. Di conseguenza mi sono sempre trovato a reinventare soggetti disegnati in stile Tradizionale ma legati alla Lazio e, in generale, a chi frequenta lo stadio in un determinato modo… Tant’è che tatuo ormai tutto il panorama ultras italiano (nonostante le rivalità cittadine).
Chi sono i tuoi punti di riferimento nella scena?
Sono tanti. Ormai la scena offre di tutto: dalle colonne portanti del tatuaggio come Bara, Dobleman, Greggleton,Tartarotti, ai giovanissimi talenti come Anakin (altro genere, ma secondo me un talento indiscutibile). Rispetto molto la scena romana: Heinz, Mamone, Daniele Cheyenne, Donnini, Disegnello e Cuomo (miei maestri), i giovani Maya Antinarella e Gimmy Materazzi, Francesco Ferrara, Fabio Nembo e Giks. Roma ha davvero tanta qualità: i tatuatori sono tutti diversi, ma ognuno artisticamente ha qualcosa che “spacca”.
Non è importante essere allineati e limitarsi a ripercorrere la strada di chi c’è stato prima: essere Tradizionali, ma con personalità, per me è il segreto.
Samuele Briganti per il mio gusto è un passo avanti: lo stimo molto artisticamente e ha creato un suo modo di vedere il tatuaggio… mezzo mondo lo emula.
Come è andata nell’ultimo anno e mezzo e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ringraziando Dio molto bene. Probabilmente è per via del fatto che la società di oggi si basa tutta sull’apparire e sull’immagine e la gente non rinuncia a farsi un tatuaggio, nonostante quello che sta succedendo nel mondo. Chiaro a tutti. La realtà di Eternal City Tattoo è molto forte e ad oggi lavora solo chi è rispettato… oltre a chi sa vendersi. Gli studi di qualità continueranno a lavorare, chi si è improvvisato avrà un calo notevole e penso sia giusto così. Dipende inoltre dal tipo di clientela.
Com’è una tua giornata tipo?
Salgo in moto e vado in studio, prendo un caffè (o pranzo) con il cliente e mi faccio spiegare il senso del tatuaggio che si vuole fare. Studiamo insieme la composizione e il significato del pezzo e iniziamo a disegnare, in modo da poter realizzare al meglio le idee di chi mi ha scelto. Mi relaziono con gli altri in studio sia prima che dopo il tatuaggio: mi piace molto il confronto e la contaminazione artistica!
Che cosa fai nel tuo tempo libero?
Lazio già l’ho detto? Oltre a seguire le partite in casa, e fuori, mi piace particolarmente uscire in moto e a tempo perso mi chiudo a giocare a Fifa.