Il titolare dei due ‘Tattoolab’ di Pordenone ed Oderzo è una persona pragmatica. Un friulano di ferro che ha fatto del tattoo Realistico il suo pane quotidiano
Ciao Andrea e benvenuto su TattooLife.com. Mi racconti qualcosa di te?
In realtà non ho molto da dire, vengo da un istituto artistico e sono sempre stato attirato dai tatuaggi anche in tenera età; essendo una persona molto paranoica per quanto riguarda l’igiene, ho frequentato subito un corso igienico-sanitario prima ancora di mettere mezzo ago addosso a chiunque. (sorride) All’epoca non c’erano corsi validi in Friuli Venezia Giulia, la mia regione d’origine, dunque mi sono spostato a Milano giusto il tempo d’ottenere l’attestato.
Poi cos’è successo?
Ho aperto praticamente subito uno piccolo studio a Porcia, un paese in provincia di Pordenone, sfruttando i soldi accumulati in diverse stagioni lavorative.
Da lì ho iniziato, senza farmi seguire nell’effettivo da qualcuno e scontrandomi fin dall’inizio con burocrazie e tasse da pagare.
Lo stile Realistico è venuto da sé. Ho iniziato prima con le cose piccoline; e quando se ne è presentata l’occasione, ho lasciato andare la mano accorgendomi che – magia! – mi veniva oltremodo “facile”.
Mi sembri molto modesto.
C’è da dire che qualche anno fa nella mia zona il numero di studi era veramente limitato; quindi ho avuto anche molte occasioni di “sperimentare” diversi soggetti e stili (sempre nel limite delle mie capacità!) vista la quantità di richieste eterogenee che mi capitavano dalla clientela.
Hai avuto dei maestri in vita tua? Non parlo solo di persone conosciute dal vivo, ma anche di uomini o donne che non hanno nulla a che fare con la sfera del tatuaggio…
In realtà non ho figure che posso definire come “maestri”, quanto più dei punti focali della mia vita. E sto parlando della mia famiglia.
Ho passato l’infanzia a disegnare e dialogare a riguardo con mia madre che è sempre stata una grande appassionata alla materia; e ho avuto in mio padre un faro per quanto riguarda l’impegno e la dedizione al lavoro. Anche lui è un artigiano (fa l’idraulico) e si è spaccato la schiena per anni mettendoci tutta la passione e l’amore possibile.
Da papà ho compreso lo spirito di sacrificio ed il “testa bassa e lavorare” tipico delle mie zone.
Ho svariati artisti che apprezzo e di cui ho una stima infinita, però se dovessi individuare delle persone, queste sarebbero in primis i miei genitori!
Tu sei proprietario e gestisci due studi (il ‘Tattoolab’ di Pordenone e il ‘Tattoolab’ di Oderzo, vicino a Treviso). Come ti organizzi?
Guarda, la parte gestionale l’ho praticamente dimenticata. Mi sono reso conto fin da subito che o mi concentravo al 100% sul tatuaggio oppure non sarei mai riuscito a crescere. Ho avuto la fortuna di trovare un collaboratore/shop manager (Emil Witczak) che si è rivelato super preciso per quanto riguarda la gestione dei conti. Ora è diventato il piercer dello studio anche se continua ancora ad occuparsi in minima parte di burocrazia.
Che lezione hai ricavato finora?
Ritengo che nel nostro mestiere, sopratutto se si vuole essere sia tatuatori che imprenditori, bisogna affidarsi a figure professionali valide e comunque circondarsi di un team di persone affidabili.
Anche i ragazzi che collaborano con me – parlo degli altri tatuatori – sono persone che sono “cresciute” assieme a me e per le quali nutro piena fiducia e stima.
Ad oggi mi ritrovo con due studi (uno dei quali avviato in pieno Covid) che funzionano alla grande; più un team con tre shop manager che si alternano nelle due strutture e svariati tatuatori, tra residenti ed ospiti. Devo dire di essere veramente contento. Non ho mai guardato al lucro nel nostro settore. Preferisco avere una sorta di “famiglia”, dato che nel nostro ambiente ci troviamo a condividere giornate intere con la stessa forza lavoro per anni.
Dove hai scovato quella foto dei Creedence Clearwater Revival a cavallo di due moto lanciate lungo la Route 61? Ne hai tratto un big piece davvero incredibile…
In realtà io amo lavorare con il cliente. Avevo questa persona super appassionata dei Creedence Clearwater Revival e assieme abbiamo trovato quella reference spettacolare di loro quattro in moto. Poi, dopo una ricerca certosina di immagini della Route 61, ho scovato quella con l’illuminazione giusta e coerente e – bam! – il gioco era fatto. Lo considero un bellissimo tatuaggio, però credo di non avere ancora raggiunto un vero e proprio “highlight”.
Chi si ferma è perduto, no?
Già, sto ancora imparando e vorrei anche sperimentare nuovi stili e generi prossimamente. Ritengo che per dare il 100% bisogna sempre avere “fame” di conoscenza, quindi mi piacerebbe diventare più eclettico possibile! (sorride)
Un consiglio da elargire a chi si avvicina allo stile Realistico per la prima volta?
“Testa bassa e lavorare”, e lo dico sul serio. Bisogna passare per una quantità considerevole di carta e matite, disegnare come dei pazzi e sopratutto metterci passione dal primissimo momento in cui si sfiora una macchinetta. Passione e non guardare al portafoglio: quello viene sempre dopo. Ok, non si lavora per la gloria, ma se si fanno le cose con amore e con rispetto per il cliente, alla lunga l’impegno viene comunque ripagato.